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18 maggio 1944: Montecassino,
il sacrificio polacco

di Marco Innocenti

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18 maggio 2009

Montecassino va presa perché blocca agli Alleati la strada per Roma. Ci provano e falliscono gli inglesi, i gurkha e i neozelandesi, tutti respinti dai paracadutisti tedeschi. Ci riusciranno, al quarto tentativo, i polacchi. Il generale Wladyslaw Anders, 51 anni, anticomunista, comanda il Corpo polacco e ha chiesto l'onore di attaccare ciò che resta dell'abbazia, demolita dagli aerei americani. L'offensiva scatta l'11 maggio 1944, portata dalle divisioni Karpatia e Kresova. I polacchi vanno all'assalto del monte tre volte e tre volte sono respinti. Al mattino del 12 hanno già perso il 20 per cento degli effettivi. Hanno contro la Prima divisione paracadutisti del generale Heinrich, tra i combattenti più duri di Germania. Montecassino domina la valle e i tedeschi difendono da posizione favorevole la loro fortezza diroccata. Si battono con fede cieca, spazzano il terreno con le mitragliatrici e i mortai. Vivono sottoterra ed emergono a gruppi per respingere gli attaccanti o morire. I loro cecchini colpiscono i polacchi come uccelli appollaiati sui rami. I cadaveri costellano il campo di battaglia, tra i papaveri, i gigli selvatici, il sapore della terra bruciata e l'odore della morte. Tedeschi e polacchi uccidono per non essere uccisi. Sono soldati che vivono come animali, sono sporchi, mangiano se e quando capita, dormono in piccoli anfratti, dietro i macigni, nelle grotte. Sono veterani del mondo crudele della morte.

L'attacco decisivo
Il 17 gli uomini di Anders ripartono all'attacco della montagna. Aggrediscono la Cresta del fante, scalano la Testa del serpente. Si fanno scudo con i cadaveri dei compagni, sparano contro qualsiasi forma che assomigli anche vagamente all'elmetto di un parà. La battaglia infuria tutta la notte tra il rumore sordo dei proiettili e quello metallico dei corpo a corpo sui pendii. Le unità dei parà tedeschi sono ridotte a scampoli. Quota 593 cade all'alba del 18. Il primo a mettere piede sulle macerie è un plotone di ulani del Primo Lancieri Podolski. Trovano un gruppo di tedeschi morenti abbandonati dai compagni. Il terreno è tappezzato di papaveri e di cadaveri. I parà superstiti si sono piegati all'ordine di Kesselring di abbandonare il "loro" monte e di sganciarsi, come ombre, lungo la Casilina ancora aperta: l'intero fronte tedesco sulla linea Gustav sta cedendo sotto i colpi degli Alleati e quella di Anders è stata l'ultima sanguinosa spallata. Sulle rovine di Montecassino scende il silenzio. Nel cielo di mezzogiorno i lancieri issano al vento la bandiera rossa e bianca. I soldati piangono come bambini. Dopo sei mesi la battaglia di Cassino è finita e la strada per Roma è aperta agli americani del generale Clark.

Una lapide per ricordare
Il 19 Anders sale fino all'abbazia per rendere omaggio ai 4.350 polacchi morti o feriti. «Il campo di battaglia - racconterà - offre uno spettacolo tremendo. Cadaveri di soldati, carri armati distrutti, crateri, brandelli di armi e di uniformi, l'odore della putrefazione e, tutt'intorno, il rosso dei papaveri». Il generale polacco non avrà fortuna. Dopo la guerra si rifiuterà di tornare nella Polonia comunista. Morirà a Londra, in esilio. I suoi uomini si disperderanno. L'abbazia di Montecassino rinascerà. Nel cimitero polacco di Cassino resta una scritta su una lapide. Dice: «Noi soldati polacchi abbiamo dato le nostre anime a Dio, i nostri corpi all'Italia e i nostri cuori alla Polonia». Sembra retorica ma non lo è. È la sintesi perfetta del sacrificio di Montecassino.

18 maggio 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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